Farfalle lungo la Senna

Che sia bello o brutto tempo, ogni sera verso le cinque è mia abitudine andarmene a passeggio al Palais Royal. Sono io quel tipo sempre solo, seduto a fantasticare sulla panchina. E la panchina prediletta rimane la stessa da tempi immemorabili. La vidi un giorno, mentre passeggiavo con dei colleghi, e fu amore a prima vista. La mattina seguente tornai, da solo, per testare la comodità di quell’ammasso di legno e ferro dipinto di verde; mi ero trasferito da poco e trovare un posticino privato presso il quale fermarmi a fantasticare, in una città immensa ed ancora a me estranea, quale Parigi, mi sembrava una prospettiva ottima.
Un pomeriggio, però, la mia panchina cambiò aspetto. Non mi ci potei neanche sedere, a causa del vistoso cartello che, con le raccapriccianti parole “vernice fresca” scritte a caratteri cubitali, intimava all’incauto passante una certa distanza.
Continuai quindi a vagabondare tra i cappotti frenetici, finché non scoprii quanto fosse efficace fantasticare passeggiando. Star seduti è senza dubbio molto più comodo, ma la panchina agisce come una calamita di idee, rendendo il fantasticare molto più semplice e noioso. Mi spiego: essendo seduto, il fantasticone non deve far altro che aprire gli occhi, osservare quello che di più prossimo si presenta ad essi, ed elaborare le sue fantasie senza curarsi di cercare altrove; camminando, invece, il sognatore deve stare sempre all’erta, poiché non gli basta osservare, ma deve saper catturare le idee prima che esse si dileguino nella moltitudine.

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Il piccolo cielo, l’albero e la strada

Viveva, in tempi lontani, verso Occidente, nel pieno rigoglio della vita, un giovane molto buono ma pure molto stravagante. Per un nonnulla si inquietava, per un nonnulla ritornava sereno; si appartava mentre allegri gli altri si divertivano, seguendo strani pensieri. Pensieri inquieti. Pensieri bizzarri. Pensieri che poco si accordavano con la sua età.
Non aveva interesse per le ragazze, non per i divertimenti, forse neppure per se stesso. Voleva solo guardare. Guardava la strada. Guardava il cielo. Guardava gli alberi sopra la sua testa. E si rammaricava di non poter essere né strada, né cielo, né alberi. Si rammaricava in particolare di questo suo pensare continuo. Se fosse stato una strada, non avrebbe pensato così tanto; forse si sarebbe accorto appena dello scalpiccìo dei passanti sul suo manto. E più pensava a quanto sarebbe stato felice, se solo fosse nato strada, più odiava la forza misteriosa che lo spingeva a riflettere.
Era stanco di pensare: pensava da ormai vent’anni. Provò a distrarsi con lo studio; ma, come tutti sanno, esso stimola sempre più la mente. Cercò sollievo nel sonno; ma, sfuggito dalla morsa dei pensieri, era rimasto preda di quella dei sogni. Infine tentò di salvarsi attraverso lavori meccanici e ripetitivi; ma la sua mente, temprata da anni d’esercizio, in breve divenne in grado di governare contemporaneamente la mano e il pensiero. Continua a leggere “Il piccolo cielo, l’albero e la strada”